Dateci un nome

abbiamo bisogno di un nome incompetenza cervicale

È molto difficile vivere quando non esiste neanche una parola che definisca la tua condizione.

Quando si perde uno o entrambi i genitori, si diventa “orfani“; quando si perde il marito o la moglie, si diventa “vedovi“..ma quando si perde un figlio?

Che cosa si diventa?

Un genitore a metà? Un genitore orfano di un figlio? Un genitore-non genitore?

Non esiste in italiano una parola che indichi questa situazione.

Eppure, purtroppo, le madri e i padri che sopravvivono ai propri figli esistono da sempre; forse, in passato, erano più numerosi di adesso.

Come mai proprio l’italiano, lingua fra le più ricche di termini e suggestioni, manca proprio di un termine che indichi una condizione così tristemente nota?

Io mi sono fatta un’idea.

In una cultura come la nostra, in cui tutto ruota – ancora oggi – attorno alla famiglia e alla generazione di figli, la perdita prematura di un bambino è un avvenimento che è preferibile celare, nemmeno dargli un nome, per non spaventare, intimorire; meglio concentrarsi su altro, possibilmente su altri figli.

La perdita di un figlio, specie se durante la gravidanza o subito dopo la nascita, è un vero tabù. È avvolta dal più nero dei lenzuoli, tesi a coprire il più velocemente possibile quanto è successo, per guardare avanti e non pensarci più.

La velocità con cui si chiede, velatamente o meno, ai genitori di metterci una pietra sopra, nasconde però le verità più pericolose: l’incapacità di affrontare un evento di tale portata e, di conseguenza, la volontà di non affrontare la tragedia delle tragedie.

Chi però si trova a vivere questa disgrazia non può fare a meno di affrontarla.

Volente o nolente, un genitore che perde un figlio in gravidanza o subito dopo la nascita non può fare finta che non sia successo nulla. In queste circostanze, sentirsi in lutto è inevitabile, ed è, inoltre, una condizione che cambia profondamente chi la vive sulla propria pelle.

Ho perso due figli a causa della diagnosi tardiva di incompetenza cervicale (IC).

Oltre al dolore per la perdita, quello che ho vissuto è stata una vera e propria crisi di identità.

Chi ero, senza i miei figli?

Ero una mamma? Le persone che mi circondavano non la pensavano in questo modo. Per la società è madre chi ha almeno un figlio sulla terra, da accudire. Eppure, io mi sentivo madre: semplicemente perché io avevo due bambini, anche se in cielo.

Ero un’orfana? “Si è orfani di un genitore, non di un figlio”…dicono. Allora cos’era quella sensazione destabilizzante che provavo, così simile a quella di aver perso la guida, come un genitore?

Ero ancora quella di prima? Questa era la mia unica certezza. Nonostante lo volessero tutti – ed io per prima – non ero più quella di prima.

Il mio cuore aveva un peso diverso: conteneva tutto il dolore che solo chi vede morire i propri figli fra le braccia può comprendere.

La scala delle mie priorità erano del tutto cambiate: il lavoro, la moda, la bellezza…mai mi erano sembrati elementi così insignificanti della mia vita.

Il mio rapporto con gli altri era cambiato: la mia capacità di ascolto e di concentrazione sulle quotidianità altrui erano talmente basse, che per me era una vera fatica anche solo prendere un aperitivo con un’amica.

Capire chi ero diventata è stata una delle componenti più difficili del mio percorso di ripresa.

Perché, se non hai un nome, la società non riconosce la tua condizione, e, di conseguenza, non ti fornisce l’aiuto di cui hai bisogno.

La rinascita di chi perde un figlio potrà essere completa e compiuta solo quando questa esperienza di vita non sarà considerata solo un’eccezione, a cui non pensare, per dare spazio alla regola.

Esistiamo. E non siamo pochi.

Abbiamo bisogno di essere riconosciuti per quello che siamo: persone che hanno subito uno dei traumi peggiori che la vita possa costringere ad affrontare e non possiamo farcela da soli.

Abbiamo bisogno di poter parlare di quello che ci è successo. Abbiamo bisogno di non sentirci soli.

Abbiamo bisogno di strutture preparate ad accoglierci: di medici esperti che ci aiutino nella diagnosi e nella cura, quando necessaria.

Abbiamo bisogno di assistenza psicologica specializzata. Individuale e di coppia.

Abbiamo bisogno di poter guardare al futuro con speranza, non attraverso gli occhi impauriti di chi ci circonda.

Oggi purtroppo non è così. Chi perde un figlio in Italia entra in un limbo, in cui solo se si è fortunati si incontrano persone con le quali si può condividere ciò che è successo e provare ad uscirne fuori.

Non esistono, ad oggi, in Italia, protocolli ufficiali di gestione del lutto perinatale, ma solo associazioni coraggiose, come, ad esempio, fra le tante, CiaoLapo, che fanno tanto, con impegno. Ma ciò non è ancora sufficiente per garantire a tutti i genitori italiani in lutto l’aiuto di cui hanno bisogno.

Dateci un nome.

Abbiamo bisogno di cambiamento.

L.H.

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