Un passo avanti, due indietro

un passo avanti incompetenza cervicale ic.itNon importa quanti passi avanti si siano fatti

Ci sono giorni in cui tutto il percorso alle proprie spalle sembra svanito nel nulla, come fosse stato senza importanza

Ci si sente solo cadere, sempre più in basso…e non si vede il fondo

Possibile che gli sforzi fatti non siano serviti a nulla?

Dopo la perdita dei miei figli a causa di una rara forma di incompetenza cervicale congenita (IC) è iniziato per me un lungo percorso. In salita. 

Appesantita da un vuoto più grande di me, temendo costantemente di impazzire dal dolore, ho utilizzato tutte le energie che mi erano rimaste per controllarmi. Volevo controllare i miei pensieri, le mie azioni, le mie lacrime, volevo tornare ad essere padrona di me stessa.

Il fatto che il mio corpo avesse ceduto al mio controllo durante le mie gravidanze provocando l’inimmaginabile mi tormentava: non potevo lasciare che accadesse ancora, né in gravidanza, né in altre circostanze.

Mi concentrai sul rimettere insieme i miei cocci, riempiendo le crepe con tutta la determinazione che da sempre mi caratterizzava.

Non era la prima volta che la vita mi tirava un colpo basso…a guardare bene, il mio passato si caratterizzava da una serie infinita e sfiancante di sfide continue…superate. Avrei superato anche questa.

I mesi passavano: via via, tornai a ridere col mio compagno, davanti a un film o in cucina, per ricordarmi che la nostra famiglia c’era ancora; tornai ad uscire con le amiche, uno spritz in compagnia, per riscoprire il piacere della leggerezza; tornai a lavoro, sorrisi, impegni, giornate piene,  per ricordarmi che ero ancora capace di fare qualcosa; tornai a viaggiare, mete prima vicine poi lontane…per ricordare il brivido di vivere ancora…

Come un guerriero che corre in battaglia…sentivo dentro la foga di farcela, di vincere la guerra.

Ma caddi. E bastò un sassolino.

Schiacciata dalla stessa armatura che mi ero creata, sprofondai nel buio più nero. 

Il dolore, trattenuto a lungo in un angolo, scoppiò fra le mie stesse mani: le lacrime scorsero senza controllo, il terrore di affrontare il presente pietrificò ogni mia buona intenzione.

Possibile che stessi così male, dopo tutti gli sforzi fatti?

Mi resi conto che questa battaglia era più dura di qualsiasi altra mi fossi mai trovata ad affrontare…e io non avevo  ancora le armi adatte per vincere.

Era la più dura, perché era una battaglia senza una fine. Avrei sentito la mancanza dei miei figli per tutta la vita.

Era la più dura, perché il nemico più grande ero io. Con un corpo difettoso e non sostituibile, con cui avrei dovuto convivere tutta la vita.

Era la più dura, perché richiedeva che cambiassi totalmente i miei piani per il futuro…e che esplorassi territori mai immaginati prima.

Più di tutto mi resi conto che non ero in grado di controllare me stessa, nonostante tutti gli sforzi di prima e di dopo: il mio corpo, così come la mia mente, potevano ancora sfuggire al mio controllo. 

Come sopraffatta da un’onda anomala a ciel sereno…mi ritrovai sbattuta a riva.

Decisi di deporre le armi e aspettare che passasse l’onda… capii che era una battaglia la mia che richiedeva momenti di pausa e di ritirata…e non dovevo averne paura.

Ogni fase era necessaria per quella che era più di tutto una battaglia di cambiamento.

Il nemico da sconfiggere era la mia vecchia me…il cui ricordo faceva ancora male.

La mia arma più efficace era l’accettazione…che la mia vita era cambiata. Ma non finita.

Il mio obiettivo era trovare una nuova me…fallibile, difettosa ma con la possibilità di dare ancora tanto in questa vita.

Il mio percorso sarebbe stato necessariamente diverso da quanto immaginato…e non sarebbero mancate nuove cadute.

Ma non per questo i passi avanti sarebbero stati vani…perché se già conosciuti, potevo percorrerli ancora, e più velocemente, in caso di caduta.

Un passo in avanti, due indietro…l’importante era non rimanere fermi.

L’importante era non arrendersi.

L.H.

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