Non chiamateli aborti

aborto incompetenza cervicale.it ic.it“Signora, lei ha avuto due aborti: prima della 24a settimana, questi casi si chiamano così.

Lei era a 23+1…”

A distanza di anni, queste parole mi trafiggono ancora il cuore

La capisco, dottoressa:

Lei ha bisogno di schematizzare, di incasellare i miei figli nell’enorme database della sua vita in corsia, sempre a contatto con la vita e la morte

Comprendo il suo bisogno di mantenere un distacco, di dare etichette che permettano di andare avanti più leggeri

Ma sappia che noi genitori possiamo morire dentro per quelle etichette, per quelle semplificazioni

Io ho partorito i miei figli, dottoressa. Lo ha visto, lei c’era.

Sono nati vivi i miei figli, dottoressa.

Si muovevano, li abbiamo tenuti in braccio; uno, il più piccolo, mi ha pure stretto un dito.

Hanno smesso di respirare fra le braccia nostre e le sue, dottoressa. Importanti, indelebili minuti, dopo essere nati.

Possono chiamarsi, questi, aborti, dottoressa?

Si fermi un attimo a pensare con il cuore di mamma (che è anche lei, tra l’altro)

Può confermare che ci può essere differenza, per me, fra un bambino di 24 e di 23+1 settimane?

Non gliene faccio una colpa, dottoressa. Io sicuramente non riuscirei a fare il suo lavoro. Mi sono bastate queste esperienze per capire quanto sia delicato.

Ma per favore, dica la parola aborto al suo responsabile, al suo professore di medicina, al suo colleganon a me.

Io ho bisogno di parole vere, di capire quello che è successo, non di termini tecnici, gelidi, distaccati.

Ho bisogno di empatia. Ho bisogno di aiuto e comprensione, di qualcuno che parli la mia lingua, ora.

Perché loro per me erano tutto, dottoressa.

Non chiamateli aborti. Erano i miei bambini.

L.H.

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