Una questione (non) privata

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È comune pensare che la perdita in gravidanza sia una questione privata, con effetti, per lo più, sulla vita della coppia.

Ma la verità è un’altra.

La morte di un bambino, a qualsiasi età, anche gestazionale, è una tragedia non solo per i genitori, ma per la società intera.

Con essa si spengono le speranze di generazioni di familiari: quelle di entrambi i genitori, degli eventuali fratellini, dei nonni, degli zii, dei cugini… tutti inevitabilmente colpiti dalla tragedia.

Ma la morte spazza via in un attimo, rendendole ignote per sempre, anche tutte le scoperte e le cose buone che quel bambino avrebbe potuto fare, se solo avesse avuto la possibilità di crescere.

In un mondo globalizzato e interconnesso come il nostro, sempre più il singolo può fare la differenza: anche una sola nuova idea può aprire, oggi, spiragli di innovazione mai immaginati prima, con effetti, a volte, immediati, anche a livello internazionale.

In questo contesto, perdere anche una sola opportunità di vita è una sconfitta per tutti.

Perché ogni Zuckerbag, ogni premio nobel, ogni poeta, ogni medico, ogni bravo lavoratore e lavoratrice di ogni campo è stato, prima di tutto, un bambino che ha avuto la possibilità di crescere.

In questa prospettiva, gli investimenti nella ricerca per la lotta contro la morte infantile e perinatale diventano fondamentali non solo per la tutela della salute dei singoli cittadini, ma per la salvaguardia del progresso collettivo.

I misteri che avvolgono la vita e la morte sono purtoppo infiniti, pertanto  è impossibile immaginare un mondo in cui nessun bambino muore.

Le cause più comuni di aborto spontaneo e morte neonatale sono tristemente riconducibili a diverse patologie del bambino, incompatibili con la vita. Ma c’è ancora tanto che si può fare per contrastare le morti che si potrebbero evitare.

A tale proposito, la ricerca nell’ambito dell’incompetenza cervicale (IC) assume un ruolo di primaria importanza.

L’IC è una patologia che, in sintesi, rende il collo dell’utero femminile debole e che, di conseguenza, mette a rischio il buon termine della gravidanza a causa della possibilità di andare incontro a parti prematuri nel secondo trimestre di gestazione. Annoverata fra le prime cause di morbilità e mortalità neonatale, si stima riguardi l’1% circa della popolazione femminile.

Sfortunatamente, ancora oggi si arriva alla diagnosi di questa patologia dopo un minimo di due perdite consecutive a causa di un parto prematuro, quando altre cause (genetiche o acquisite) siano state escluse. I bambini coinvolti da questo dramma presentano generalmente caratteristiche genetiche compatibili con la vita, ma non sopravvivono al parto a causa dell’estrema prematurità.

Si tratta quindi di un dramma oltre il dramma: se messi nella condizione di poter passare più tempo nella pancia della mamma, questi stessi bimbi potrebbero infatti sopravvivere, crescere, imparare, scoprire, innovare, come minimo vivere, e magari, a loro volta, creare altra vita.

In questo mese di ottobre dedicato al lutto infantile e perinatale, chiediamo che siano puntati i riflettori sugli aspetti più drammatici della nostra storia di famiglia colpita dall’incompetenza cervicale: l’impossibilità attuale di avere una diagnosi precoce e sicura riguardante questa patologia e l’incertezza di base che circonda la scelta del trattamento medico da seguire.

Il miglioramento del processo di diagnosi  e trattamento dell’incompetenza cervicale (IC) è una vera urgenza, non solo per noi genitori o per i nostri cari, ma per tutti.

Perchè i nostri figli potrebbero vivere.

Porchè ogni bambino è importante. 

Perchè la morte di un bambino non è solo una questione privata. Ma di tutti. 

L.H.

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